DOCUMENTO APPROVATO DALLA 7ª COMMISSIONE PERMANENTE
Ho ricevuto questa indagine condotta dalla VII Commissione del Senato dal titolo :
CONCLUSIONI DELL’INDAGINE CONOSCITIVA SULL’IMPATTO DEL DIGITALE SUGLI STUDENTI, CON PARTICOLARE RIFERIMENTO
AI PROCESSI DI APPRENDIMENTO
Trovando il contenuto particolarmente interessante e scorrevole alla lettura (strano a dirsi), ne offro la completa copia per consultazione.
I RISULTATI DELL’INDAGINE
Ci sono i danni fisici: miopia, obesità, ipertensione, disturbi muscolo-scheletrici, diabete. E ci sono i danni psicologici: dipendenza, alienazione,
depressione, irascibilità, aggressività, insonnia, insoddisfazione, diminu zione dell’empatia. Ma a preoccupare di più è la progressiva perdita di
facoltà mentali essenziali, le facoltà che per millenni hanno rappresentato
quella che sommariamente chiamiamo intelligenza: la capacità di concen
trazione, la memoria, lo spirito critico, l’adattabilità, la capacità dialettica…
Sono gli effetti che l’uso, che nella maggior parte dei casi non può che
degenerare in abuso, di smartphone e videogiochi produce sui più giovani.
Niente di diverso dalla cocaina. Stesse, identiche, implicazioni chimiche,
neurologiche, biologiche e psicologiche.
È quanto sostengono, ciascuno dal proprio punto di vista « scientifico », la maggior parte dei neurologi, degli psichiatri, degli psicologi, dei pedagogisti, dei grafologi, degli esponenti delle Forze dell’ordine auditi. Un quadro oggettivamente allarmante, anche perché evidentemente destinato a
peggiorare.
C’è stato un tempo in cui, per capire come saremmo diventati, noi
italiani guardavamo alla Germania, poi alla Francia, poi, dal secondo
dopoguerra, agli Stati Uniti. Ora, per la prima volta, il nostro sguardo
abbandona le nazioni occidentali per volgersi ad Oriente. Corea del Sud,
Cina, Giappone. Sono questi, oggi, i nostri modelli. Modelli avanzatissimi
già da anni quanto a diffusione della tecnologia digitale, perciò anticipatori
degli effetti che il crescente uso di smartphone e videogiochi produrrà
fatalmente sui nostri figli, sui nostri nipoti, sui nostri amici, su di noi e di
conseguenza sulla società in cui viviamo.
I numeri impressionano. In Corea del Sud il 30 per cento dei giovani
tra i dieci e i diciannove anni è classificato come « troppo dipendente » dal
proprio telefonino: vengono disintossicati in sedici centri nati apposta per
curare le patologie da web. In Cina i giovani « malati » sono ventiquattro
milioni. Quindici anni fa è sorto il primo centro di riabilitazione, natural mente concepito con logica cinese: inquadramento militare, tute spersona
lizzanti, lavori forzati, elettroshock, uso generoso di psicofarmaci. Un
campo di concentramento. Da allora, di luoghi del genere ne sono sorti oltre
quattrocento. Analoga situazione in Giappone, dove per i casi più estremi
è stato coniato un nome, hikikomori. Significa « stare in disparte ». Sono
giovani tra i dodici e i venticinque anni che si sono completamente isolati
dalla società. Non studiano, non lavorano, non socializzano. Vegetano chiusi
nelle loro camerette perennemente connessi con qualcosa che non esiste
nella realtà. Gli hikikomori in Giappone sono circa un milione. Un milione
di zombi.
Tutte le ricerche internazionali citate nel corso del ciclo di audizioni
giungono alla medesima conclusione: il cervello agisce come un muscolo,
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si sviluppa in base all’uso che se ne fa e l’uso di dispositivi digitali (social
e videogiochi), così come la scrittura su tastiera elettronica invece della
scrittura a mano, non sollecita il cervello. Il muscolo, dunque, si atrofizza.
Detto in termini tecnici, si riduce la neuroplasticità, ovvero lo sviluppo di
aree cerebrali responsabili di singole funzioni. Analogo effetto si registra
nei bambini cui è stata limitata la « fisicità ». Nei primi anni di vita, infatti,
la conoscenza di sé e del mondo passa attraverso tutti e cinque i sensi:
sollecitare prevalentemente la vista, sottoutilizzando gli altri quattro sensi,
impedisce lo sviluppo armonico e completo della conoscenza. È quel che
accade nei bambini che trascorrono troppo tempo davanti allo schermo di
un iPad o simili. Per quest’insieme di ragioni, non è esagerato dire che il
digitale sta decerebrando le nuove generazioni, fenomeno destinato a
connotare la classe dirigente di domani.
Mai prima d’ora una rivoluzione tecnologica, quella digitale, aveva
scatenato cambiamenti così profondi, su una scala così ampia e in così poco
tempo. Il motivo è evidente, lo smartphone, ormai, non è più uno strumento,
ma è diventato un’appendice del corpo. Soprattutto nei più giovani.
Un’appendice da cui, oltre ad un’infinita gamma di funzioni, in larga parte
dipendono la loro autostima e la loro identità. È per questo che risulta così
difficile convincerli a farne a meno, a mettere da parte il telefonino almeno
per un po’: per loro, privarsene è doloroso e assurdo quanto subire
l’amputazione di un arto.
Usarlo incessantemente è dunque naturale. È naturale perché questo li
inducono a fare le continue sollecitazioni di algoritmi programmati apposta
per adescarli e tenerli connessi il più a lungo possibile. È naturale perché
a disconnettersi percepiscono la sgradevole sensazione di essere « tagliati
fuori », esclusi, emarginati. È naturale anche e soprattutto perché essere
connessi è irresistibilmente piacevole, dal momento che l’uso del digitale
che ne fanno i più giovani, prevalentemente social e videogiochi, favorisce
il rilascio di dopamina, il neurotrasmettitore della sensazione di piacere.
Ma si tratta di un piacere effimero. Dal 2001, anno in cui le console
per videogiochi irrompono nelle camerette dei ragazzi, e con un’accelera zione impressionante dal 2007, anno in cui debutta lo smartphone, depres sioni e suicidi tra i giovanissimi hanno raggiunto percentuali mai viste
prima. Sono quasi raddoppiati, e quel che preoccupa è che il trend appare
in costante ed inesorabile ascesa. Stessa tendenza, in rapida crescita,
riguarda i casi di autolesionismo, di anoressia, di bulimia. Manifestazioni
di disagio giovanile sempre esistite, ma che oggi si autoalimentano sui
social e nelle chat esaltando anziché scoraggiando i ragazzi e in modo
particolare le ragazze dal metterli in pratica.
A tutto ciò vanno sommate le conseguenze sui più giovani dell’essere
costantemente a contatto con chiunque e con qualsiasi cosa. Istigazione al
suicidio, adescamento, sexting, bullismo, revenge porn: tutti reati in co stante crescita. Reati facilitati dal fatto che nelle nuove piazze virtuali non
trovano spazio le regole in vigore nelle vecchie piazze reali: vige l’ano nimato, i controlli sono scarsi, i minori vi si avventurano senza alcuna
sorveglianza da parte dei genitori.
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Dal ciclo delle audizioni svolte e dalle documentazioni acquisite, non
sono emerse evidenze scientifiche sull’efficacia del digitale applicato
all’insegnamento. Anzi, tutte le ricerche scientifiche internazionali citate
dimostrano, numeri alla mano, il contrario. Detta in sintesi: più la scuola
e lo studio si digitalizzano, più calano sia le competenze degli studenti sia
i loro redditi futuri.
CONCLUSIONI
Rassegnarsi a quanto sta accadendo sarebbe colpevole. Fingere di non
conoscere i danni che l’abuso di tecnologia digitale sta producendo sugli
studenti e in generale sui più giovani sarebbe ipocrita. Come genitori, e
ancor più come legislatori, avvertiamo il dovere di segnalare il problema,
sollecitando Parlamento e Governo ad individuare i possibili correttivi.
Avanziamo alcune ipotesi:
– scoraggiare l’uso di smartphone e videogiochi per minori di
quattordici anni;
– rendere cogente il divieto di iscrizione ai social per i minori di
tredici anni;
– prevedere l’obbligo dell’installazione di applicazioni per il con
trollo parentale e l’inibizione all’accesso a siti per adulti sui cellulari dei
minori;
– favorire la riconoscibilità di chi frequenta il web;
– vietare l’accesso degli smartphone nelle classi;
– educare gli studenti ai rischi connessi all’abuso di dispositivi
digitali e alla navigazione sul web;
– interpretare con equilibrio e spirito critico la tendenza epocale a
sopravvalutare i benefici del digitale applicato all’insegnamento;
– incoraggiare, nelle scuole, la lettura su carta, la scrittura a mano
e l’esercizio della memoria.
Non si tratta di dichiarare guerra alla modernità, ma semplicemente di
governare e regolamentare quel mondo virtuale nel quale, secondo le ultime
stime, i più giovani trascorrono dalle quattro alle sei ore al giorno. Si tratta
di evitare che si realizzi fino in fondo quella « dittatura perfetta » vaticinata
da Aldous Huxley quando la televisione doveva ancora entrare in tutte le
case e lo smartphone aveva la concretezza di un’astrazione fantascientifica: « Una prigione senza muri in cui i prigionieri non sognano di evadere. Un
sistema di schiavitù nel quale, grazie al consumismo e al divertimento, gli
schiavi amano la loro schiavitù ».
Giovani schiavi resi drogati e decerebrati: gli studenti italiani. I nostri
figli, i nostri nipoti. In una parola, il nostro futuro.